“Curiamo” il bullismo
È tra gli argomenti più noti del XXI secolo: tutti ne parlano, tutti lo studiano, qualcuno cerca di lottare per sconfiggerlo e mentre qualcuno ci riesce, qualcun altro ne rimane carnefice o vittima. Il bullismo e il cyber-bullismo ormai sono i nuovi trend con cui i giovani comunicano le proprie idee. “Non mi piaci? Allora ti insulto”, “Vivi ai margini? E allora sei sfigato e nessuno ti cerca, anzi”.
Il dialogo, il confronto e la tolleranza sembrano ormai concetti e modus vivendi antichi e soprattutto dimenticati. In questo pezzo però, non parleremo solo delle vittime del bullismo, ovvero di quei ragazzi più fragili che vengono picchiati o insultati a tal punto da rendere il loro universo ancora più instabile e non parleremo neanche dei carnefici, vittime in realtà anche loro di un sistema di marginalizzazione e di indifferenza, che li spinge a gesti aggressivi e talvolta brutali.
Oggi parleremo di consapevolezza e di scelta. La consapevolezza di sapere chi siamo e chi sono coloro che ci circondano e la scelta di “scegliere” come comportarci. La scorsa settimana lo psichiatra Umberto Galimberti rilasciava un’intervista proprio sul bullismo al Corriere di Como identificando il tanto discusso problema nelle dinamiche relazionali tra coetanei ma scavando all’origine: gli “istituti” educativi, ossia la famiglia e la scuola.
Negli anni passati si pensava al bullismo solo come conseguenza delle famiglie emarginate, quelle povere o con una cultura e un livello di educazione basso, realtà in cui “il più forte sopravvive”. Oggi il pericolo del bullismo è ovunque. Galimberti afferma che alla base delle dinamiche di bullismo c’è la mancanza di comunicazione: “nuclei dove il dialogo è assente e addirittura i genitori sono assenti”. E in tempi in cui la famiglia manca il bersaglio, la scuola diventa fonte di ispirazione e di condivisione, ma probabilmente anche questa negli ultimi anni ha mostrato più deficit che valori aggiunti.
“La scuola italiana è in una situazione disastrosa. Non educa, al massimo istruisce. Educare i ragazzi significa portarli dallo stadio pulsionale a quello emotivo, fare in modo che possano distinguere il bene e il male, capire la differenza tra corteggiare e stuprare”.
E nonostante le difficoltà di istituzioni sane che possono aiutare, il punto cruciale che ci riguarda come ragazzi pronti al cambiamento è un altro: riuscire a distinguere il bene e il male con consapevolezza. La consapevolezza è la chiave d’accesso alle nostre emozioni e alla possibilità di scegliere il bene.
In concomitanza all’intervista dello psichiatra Galimberti, la psicologa Jessica Alexander scrive su D la Repubblica dell’importanza di superare questo fenomeno riconoscendone un principio di riproduzione: “I bambini felici, da grandi, diventano adulti felici che cresceranno altri bambini felici, un circolo virtuoso che si ripete all’infinito”. E lo stesso processo vale al contrario. La dottoressa Alexander crede che sia possibile superare il bullismo, come è successo in Danimarca, “nazione studio” della sua ricerca. Il programma “Liberi dal bullismo” ha fatto sì che negli ultimi dieci anni i numeri siano diminuiti, passando dal 25 al 7% dei ragazzi coinvolti. Come è stato possibile questo? Helle Baktoft, esperta di bullismo scrive: “Noi siamo convinti che non esistano bambini cattivi. Esistono solo dinamiche di gruppo sbagliate. Gli insegnanti danesi cercano di sviluppare delle strategie per aiutare gli studenti a inserirsi nel gruppo. Una volta che l’allievo che veniva emarginato comincia a sentirsi accettato smette di comportarsi male”. Qui però entra in gioco la parte più interessante, la scelta di ognuno, la chiave della tolleranza. “Dai 6 ai 16 anni agli studenti danesi viene richiesto di investire un’ora alla settimana per il miglioramento delle dinamiche di classe, imparando ad ascoltarsi a vicenda e a mettersi ognuno nei panni dell’altro”. Questa è la nostra sfida: partecipiamo a conferenze, facciamo intere lezioni e usiamo slogan contro il bullismo… Oggi è tempo di fare fatti: prenditi del tempo, esci dalla tua routine, esplora il diverso, ascolta l’altro, sii attento a chi rimane indietro, scardina le dinamiche di gruppo sbagliate, nessun insulto ma gentilezza. I ragazzi danesi ce l’hanno fatta, e noi?
Parti da te e ricorda tu puoi essere il cambiamento che vuoi vedere!