A riveder le stelle
Due cose hanno di veramente stupefacente le stelle: numero uno, più sei al buio, meglio riesci a vederle; numero due, la luce di cui una stella brilla oggi risale ad una fusione nucleare avvenuta migliaia di anni fa, in qualche angolo remoto e silenzioso dell’universo.
Al tempo in cui scriveva la Divina Commedia, Dante Alighieri non poteva sapere nessuna delle due cose, perché non aveva idea di cosa fosse la luce elettrica e soprattutto perché si immaginava l’universo in maniera incredibilmente diversa da come lo conosciamo noi oggi: eppure, ormai quasi settecento anni fa, Dante ha detto queste e mille altre che neppure conosceva e le ha dette nel modo più bello e memorabile che si potesse concepire.
Proprio con le stelle, il Sommo poeta chiude ciascuna delle sue tre cantiche: nel segno di quei “corpi celesti che brillano di luce propria” come le definisce il vocabolario. Se la poesia di Dante è stata definita una “trapunta di stelle”, uno “spartito di lampi sfolgoranti” o ancora una “cattedrale di luce”, un motivo doveva pur esserci o no? La domanda allora è perché? Perché finire con le stelle? Perché Dante aveva compreso che solo partendo dal buio – anche se si tratta del buio di una notte infernale – è possibile tornare a vedere le stelle.
“Uscimmo a riveder le stelle”, recita l’ultimo verso dell’Inferno, perché per noi umani, vedere la luce è sempre e solo un ritorno, perché tutti, sentiamo e sappiamo nel profondo – non importa quanto densa sia l’oscurità che ci circonda – la luce, un tempo, era casa nostra. Questa è la prima cosa che ci insegna la Commedia: tornate a casa, ripercorrete la luce! È come se nel suo viaggio, alla fine di ciascuna cantica, in un estremo tentativo di ricognizione e ricalcolo, Dante, come uomo e poeta, non potesse fare a meno di inciampare sulle stelle e dalle stelle poi lasciarsi guidare e orientare lungo il proprio cammino, come se le stelle conoscessero la strada, meglio della polvere.
Una delle saldature più belle e significative di tutta la Commedia è costituita dal fatto che la stessa parola stelle brilla di luce propria alla fine di tutte e tre le cantiche: si chiudono così rispettivamente l’Inferno “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, il Purgatorio “Puro e disposto a salire le stelle”, il Paradiso “L’Amore che move il sole e l’altre stelle”.
Nella continuità fissa di quella ripetizione che salda come in una catena tutta la Commedia, nei tre versi ad interessarci è anche un altro dettaglio: i verbi. Rivedere, salire, muovere. Quanto al primo, è come se Dante stesse dicendo “In vita mia, avevo già visto le stelle e toccare il fondo di quella voragine infernale in cui ero precipitato e da cui poi sono venuto fuori, è stato come tornare alle origini, tornare a ciò per cui sono nato, tornare a ciò che sono sempre stato”.
Quanto al secondo verbo, salire, è come se Dante stesse dicendo “Non importa quante volte ho perso di vista le stelle nella mia vita, non importa quante volte le ho ritrovate: ogni volta che sono di nuovo puro e disposto, sono pronto a salire le stelle, ogni volta come se non l’avessi mai fatto, ogni volta come un’assoluta novità”. L’ultimo verso dell’intera Commedia, poi, ci dice qualcosa di ancora più importante, di così importante che è il caso di considerarlo insieme con i tre versi che lo precedono:
A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Qui Dante sta dicendo: “Dopo essere arrivata così in alto, qui, in questo momento e in questo punto, di fronte alla visione di Dio, all’immaginazione venne meno la forza; ma a guidare ormai il mio desiderio e la mia volontà, come una ruota che è mossa uniformemente, c’era l’Amore che muove il sole e le altre stelle”.
Qui si concentra la forza dirompente, quasi nucleare, della poesia di Dante. Qui, dopo aver rivisto le stelle, dopo essere salito fino ad esse, dopo, insomma, aver puntato alle stelle come allo scopo della propria esistenza, nell’ultimo verso del Paradiso non c’è più spazio per Dante.
Il soggetto in quella frase non è più Dante, ma Dio, quell’Amore immenso ed eterno che muove il sole, le stelle e l’universo intero. Facendo delle stelle la guida e il traguardo della propria esistenza, Dante ha trovato il significato e lo scopo della propria vita: quell’Amore che quando comincia a muovere la tua vita, fa di te una stella che comincia a muoversi con la stessa armonia e lo stesso splendore di qualunque altra stella nell’universo.
La luce di quelle stelle che hai rivisto o rivedrai, come Dante, una volta uscito dal tuo inferno, ha cominciato a brillare quando all’inferno ci stavi scendendo, solo che non te ne accorgevi. Ricorda perciò: quando è più buio intorno a te, una stella, la tua, da qualche parte è esplosa e sta cominciando a brillare.
Esci a riveder le stelle. Sbarazzati di tutto quello che ti intralcia e torna a salire le stelle. Permetti all’Amore che muove l’intero universo di dare una direzione alla tua vita: così diventerai tu stesso la stella a cui puntavi quando hai cominciato il tuo viaggio.
Gionathan